L'opera di Parmenide, intitolata Perì Phýseos (Dell'Origine), doveva avere un'estensione di gran lunga superiore ai soli 150 versi circa giunti fino a noi. In questi frammenti nasce la Sapienza greca affidata alla scrittura, e in essa dimora la radice della filosofia d'Occidente. Ma che senso ha tornare ancora a Parmenide? Perché ripercorrere la via che lo condusse alla soglia del mondo visibile? Perché oggi sappiamo che Parmenide non era solo un filosofo, ma molto di più. Era un sacerdote di Apollo Oúlios, l'Apollo delle Guarigioni, iatromante e maestro-sciamano di sacralità alla maniera dei corrispettivi d'Oriente - induisti, taoisti, buddhisti -, e dunque la sua sapienza tramandata oralmente connetteva la sophía occidentale con quella orientale. In più era anche politico illuminato, alla maniera dei Pitagorici, oltre che raffinatissimo indagatore della Natura. E fu il primo, emergendo dallo sfondo della tenzone dialettica originaria, a fornire un modello per l'articolazione razionale del pensiero, attraverso l'uso di principi come quello di non contraddizione e del terzo escluso. È proprio per rendergli giustizia, dunque, e restituire a noi uno sguardo mistico sulla vita e la sua scaturigine, che giova rileggere Parmenide e il suo poema, i cui frammenti ci mostrano e ci testimoniano il "fiore dell'intuire".