La malattia, ritiene Virginia Woolf, è un tema marginale in letteratura perché richiede un linguaggio specifico, «più primitivo, più sensuale, più osceno». I malati sono i disertori dell'armata dei lavoratori, e i soli ad avere il tempo di osservare la natura e coglierne l'indifferenza. In questo saggio scritto dal letto della convalescenza, Woolf esplora molti temi: la solitudine e i lettori cinesi di Shakespeare, la letteratura e i dentisti, il suicidio e l'elettricità, e lo fa con lo stile della divagazione in cui risuonano i romantici de Quincey e Coleridge, ma anche Milton e Rimbaud. Scritto in un periodo intenso del suo rapporto con Vita Sackville-West, questo saggio esplora le terre ignote della malattia fisica e mentale e le trasforma in materia letteraria. E a questo testo si affianca "Appunti dall'infermeria" di Julia Stephen, sua madre, infermiera per vocazione, che ha dato vita a un prontuario sulla cura del malato, documento in cui si scorgono un'ironia e delle doti artistiche che permettono di illuminare le radici di una delle massime scrittrici del Novecento.