A cura di Emilio Pasquini Nelle oltre duecento riflessioni, massime e sentenze che compongono i Ricordi, di cui restano diverse redazioni, dalla prima del 1512-13 a quella definitiva del 1530, Guicciardini fissa i punti essenziali della sua visione del mondo. Come per Machiavelli, l'uomo è il motore della storia, ma il senso profondo degli eventi sembra sfuggire a ogni analisi, le leggi della natura sono imperscrutabili e la virtù non è sempre in grado di opporsi con successo all'instabile fortuna. Occorre diffidare delle teorie generali e limitarsi a seguire la lezione delle cose, compito che richiede il «buon occhio del saggio» e la «discrezione», la facoltà di discernere gli elementi caratteristici di ogni situazione e di adattarvi la propria condotta in vista di un fine individuale, il cosiddetto «particulare», che non è necessariamente gretto tornaconto ma piuttosto nobile affermazione della propria intelligenza e del proprio onore. Ad affiorare nelle pagine di questo zibaldone è soprattutto il profondo scetticismo dell'intellettuale segnato dalla catastrofe politica dell'Italia e dal crollo di ogni illusione che all'astratta ideologia contrappone lo sguardo lucido e disincantato del moralista di razza.