Sono caduti uno dopo l'altro gli dei dello sport. Oggi, fatichiamo a trovarne di altri, di nuovi, di corroboranti, quelli che entusiasmano intere generazioni. Giancarlo Dotto, da mitomane incallito, passa in rassegna un'epoca mitologica, quella che ha visto Maradona e Federer, Edberg e Jordan, e tutti quei nomi illustri che hanno gioito e narrato le gesta di questi grandi atleti. Così si vedrà Carmelo Bene inginocchiato davanti alla televisione dopo una punizione al bacio di Platini, l'inquietudine di Foster Wallace per la finale degli Us Open che vide Federer trionfare su Agassi nel 2005, lo stesso Dotto che, con una radiolina a transistor, ascolta la voce di Paolo Valenti che racconta la telecronaca dell'incontro di pugilato tra Griffith e Benvenuti. Ora che non abbiamo più gli dei, triturati nella banalità quotidiana, incapaci di gestire i palmari grazie a cui ci illudiamo di avere un nome, un cognome, un'appartenenza, ci sentiamo come pesci caduti nella rete degli algoritmi, consumatori spasmodici di uno sport ridotto a puro sforzo fisico.