L'11 settembre 2001 Joan Didion vide, come tutti in tutto il mondo, un video che non avrebbe mai creduto di vedere. Passò la giornata in stato di shock, poi decise di andare a casa di amici. L'invito era per una festa, ma si trasformò in una scusa per non stare da sola, per assorbire insieme agli altri la tragedia delle due torri del World Trade Center di New York - agili e verticali come i due 1 dell'11, simmetriche come le colonne che si specchiano nelle pagine di un libro - distrutte dagli aerei in picchiata. In "Idee fisse" Joan Didion racconta la sua reazione personale al trauma collettivo e analizza la risposta dell'America, la narrazione monolitica che ne è scaturita - le «idee fisse» della guerra al terrorismo - e che a ben guardare propugnava una precisa agenda politica: nazionalismo, imperialismo, interesse economico. Attraverso gli occhi di Joan Didion vediamo i minuti in cui il futuro si è materializzato davanti a noi. Attraverso la sua voce viviamo l'evento storico che più ha segnato il nostro tempo. Attraverso la sua penna sgretoliamo le certezze che ci hanno spacciato da vent'anni a questa parte. Joan Didion ancora una volta frantuma monoliti, ovvero compie il gesto che ogni scrittore dovrebbe, che tutti noi dovremmo compiere ogni giorno della nostra vita.