"Con il "De amore" di Andrea Cappellano è come se un nuovo patto venisse stipulato fra l'uomo e la donna. Dalla decadenza del peccato originale, di cui ultime e vistose tracce sono facilmente reperibili nella coeva letteratura misogina, si passa ad un nuovo genere di rapporto dominato dalla figura enigmatica e «tirannica» di Amore. Le responsabilità della vita morale scendono, in un certo qual senso, dal cielo alla terra, e l'uomo riscopre le radici del bene nel suo rapporto solitario con la donna. L'operazione non poteva non comportare rischi, e non solo per ciò che riguarda l'aspetto materiale delle sanzioni secolari. L'opinione pubblica infatti non era ancora matura per un tale ribaltamento dei valori comunemente accettati, ed era quindi necessario che l'amore profano portasse in sé tutte le stigmate e i segni di riconoscimento dell'amore sacro. [...] La solitudine delle coppie più celebri della letteratura «cortese», dagli amanti della tradizione trobadorica ad Abelardo e Eloisa, Tristano e Isotta, Ginevra e Lancillotto, e così via, è il durissimo scotto pagato per portare alla luce una società finalmente aperta a quelli che oggi definiremmo i diritti del cuore: esperienza questa indubbiamente più femminile che maschile, almeno in rapporto alla media dell'erotismo medievale. [...] Una volta accettato il principio di ritirare la delega dei poteri a chi per secoli ne aveva ricevuto una sia pur legittima investitura, e una volta ingabbiata nella teologia la figura paterna intervenuta a riscattare il mondo in uno dei momenti più tragici nella storia della civiltà greco-latina, è ovvio che l'uomo e la donna, nuovi Adamo ed Eva, fossero costretti a ripiegarsi su se stessi, a cercare in sé l'energia necessaria a preservare le istituzioni umane dal caos e dal disordine di un mondo retto dalle sole forze dell'istinto." (Dallo scritto di D'Arco Silvio Avalle)