Nel 1576 il notaio Rocco Benedetti, recatosi nella «gran bella città che era stata cortese e fedel albergo alle genti del mondo», la descrive con lo sgomento di chi assiste alle prime manifestazioni della peste e ne vede gli effetti di persona. Benedetti testimonia il progredire del morbo, riporta le richieste rivolte ai medici dello Studio di Padova per arginarlo e le loro risposte, tranquillizzanti all'inizio, contradditorie in seguito. Ha sotto i propri occhi le calli e i campi deserti e silenziosi, l'immenso sforzo compiuto dalle strutture sanitarie, l'esplodere delle diversità sociali. I provvedimenti presi dalle magistrature della Repubblica per tenere lontane tra loro le persone contagiate, per isolare le zone colpite, per disinfettare case e luoghi destano curiosità e stupore. Le analogie di molti stati d'animo, oltre che degli effetti improvvisi prodotti dal diffondersi della paura sui comportamenti della popolazione e sull'uso degli spazi urbani, appaiono singolari a chi legge oggi, a distanza di quasi cinque secoli, questa breve, vivacissima narrazione su di uno dei più cosmopoliti centri urbani d'Europa mentre passa, repentinamente, dall'affollamento al vuoto.