Che le Donne siano della spetie degli Huomini è l'ultima opera pubblicata da suor Arcangela Tarabotti, nel 1651. Si tratta di una risposta puntuale, suddivisa in cinquantasette tesi, ad un trattato dal titolo Che le donne non siano della spetie degli huomini. Discorso piacevole, tradotto da Horatio Plata Romano, pubblicato nel 1647. La polemica con Plata permette a Tarabotti di tornare su alcuni dei temi a lei più cari, che aveva già enucleato in altre opere: su tutti, la denuncia della mancanza di istruzione e libero arbitrio per le donne. Tarabotti, nel contrattaccare l'ironico misoginismo del suo "avversario", ha occasione anche di esibire riferimenti e citazioni erudite. L'opera si impone all'attenzione del lettore moderno per l'appassionata difesa del genere femminile promossa dalla sua autrice: una difesa che consacra suor Arcangela, a quasi quattrocento anni dalla sua morte, come una protagonista indiscussa degli albori del pensiero femminista.