Romano Alquati è stato un sociologo e militante, figura centrale dell'operaismo politico italiano. Il suo nome è legato a elaborazioni teoriche capaci di leggere le trasformazioni industriali e le lotte operaie del decennio Settanta. Conosciuto per la sua «conricerca», un metodo di analisi dei processi sociali che attinge all'antropologia e alla storia orale, negli anni Ottanta e Novanta si è impegnato nella costruzione di un'interpretazione complessiva del capitalismo contemporaneo. Alquati scrive Sulla riproduzione della capacità umana vivente al giro di boa del millennio. Negli anni dell'espansione della globalizzazione capitalistica e del breve ciclo del movimento no global, dello sviluppo della new economy e della sua crisi, dei dibattiti su neoliberismo, postfordismo, fine del lavoro. In una direzione differente, Alquati propone un'ipotesi forte: la riproduzione di quella che viene chiamata forza lavoro e lui definisce capacità lavorativa umana vivente, merce principale del capitalismo, sta diventando luogo diretto della valorizzazione di capitale e di dominio. Riprodurre capacità umana è dunque un lavoro: quando riproduciamo gli altri e quando riproduciamo noi stessi. La riproduzione di cui parla l'autore non è solo lavoro di cura o lavoro delle donne: è un lavoro trasversale, sottoposto a un processo di forte industrializzazione, centrale anche per ogni ipotesi di fuoriuscita dall'esistente.