La pandemia da Covid-19 ha profondamente mutato le nostre relazioni, cancellando pratiche sociali fino a poco tempo fa del tutto naturali. Una delle prime «vittime» è stata la stretta di mano, che da gesto pieno di significati positivi si è trasformato in «arma biologica». Un paradosso, se si pensa che le origini e la diffusione della stretta di mano sono popolarmente ricondotte al fatto che così si dimostrava all'interlocutore di non essere in possesso di un'arma. Ma se il mezzo per offendere, e contro la propria volontà, è lo stesso che dovrebbe portare il segno di pace? È arrivato forse il momento per un necrologio della stretta di mano? Ella Al-Shamahi preferisce scriverne la biografia, raccontandoci con spirito e ampiezza di visione le sue alterne vicende nei sette milioni di anni che rappresentano la sua evoluzione. La stretta di mano ha conosciuto altre eclissi, ma è sempre tornata in auge, perché appartiene alla nostra biologia, non solo alla nostra cultura. Perché è uno dei principali riferimenti della connessione umana. Perché non può essere sostituita nella sua efficacia e sensibilità di esternazione, e i tentativi in tal senso sono sempre falliti. Perché per molti ha rappresentato una conquista irrinunciabile (vedi l'autrice). I nostri antenati preistorici hanno lasciato impronte di mani. I Greci e i Romani se le stringevano, in pace e in guerra. Le strette di mano diplomatiche hanno condizionato la vita di milioni di persone. Fra le tante possibili «versioni» del gesto, alcune modalità sono risultate vincenti e altre sono cadute in disuso, sopravvivendo solo in contesti isolati. Ma tutto conferma il valore unico di questa forma di contatto fisico, testimone della nostra natura di «esseri umani»: Al-Shamahi ci rassicura che la storia della stretta di mano è tutt'altro che al termine.