Alla ricca letteratura filosofica e teologica "provocata" dall'esperienza globalizzata dell'emergenza sanitaria del virus, appartiene a buon diritto il testo del teologo Andrés Torres Queiruga che si interroga sul tema. Se non esiste soluzione al mistero dell'esistenza del male, una risposta è, però, chiaramente priva di senso: quella che lo riconduce a Dio. Se non si vuole restare imprigionati nel paradosso di Epicuro - se Dio non vuole impedire il male, non è buono; se non può, non è onnipotente - bisogna necessariamente cambiare prospettiva. Quello che intende fare il testo di Queiruga. La domanda sollevata dalla "catastrofe vitale" interroga il futuro della riflessione teologica e forse anche la pertinenza culturale del cristianesimo in epoca post-moderna. Un mondo-senza-male è impossibile: da questa consapevolezza deve ripartire anche la teologia e quella branca del suo sapere chiamata tradizionalmente Teodicea. La domanda che essa pone, allora, deve cambiare e, secondo Queiruga, essa diventa: perché pur sapendo che il mondo è finito, cioè esposto al male, Dio lo crea nonostante tutto? Il testo vuole dare il suo contributo al dibattito circa il futuro del cristianesimo (e della religione in generale). Postfazione di Kurt Appel.