«Un'incrollabile certezza caratterizza tutto il pensiero di de Lubac sul soprannaturale: contro ogni riduzione antropologica della teologia operata dall'ateismo è possibile al cristiano, partendo dalla sua fede, mostrare a se stesso e a chiunque altro che esiste effettivamente un legame intimo tra la religione del Dio fatto uomo e l'antropologia, senza con ciò aderire alla riduzione antropologica laicista e secolarizzata adottata dall'ateismo, anzi contestandola radicalmente. Infatti, per mezzo di Cristo e in Cristo, Dio, rivelando se stesso all'uomo, rivela anche l'uomo a se stesso, cioè conduce l'uomo a scoprire la sua più propria ed intima essenza e destinazione. Al tempo stesso, sulla scorta di tutti gli studi storici precedentemente svolti da de Lubac sul soprannaturale, si svela anche fino in fondo il facile malinteso circa un modo di intendere il dialogo e la collaborazione pratica con la contemporanea cultura atea. La Chiesa smarrirebbe infatti completamente il senso e la possibilità stessa della sua missione nel mondo, qualora pensasse di poter raggiungere una perfetta condivisione d'intenti con il mondo a partire da un concetto di "natura umana" concepita come pienamente autosufficiente e compiuta in se stessa. Sulla base di questa fragile e contestabile premessa sarebbe fin troppo facile condividere, con tutti i possibili interlocutori, i cosiddetti valori semplicemente umani, lasciando indefinitamente sullo sfondo il problema religioso che giunge a porre seriamente la questione del destino ultimo dell'uomo. In tal caso il "soprannaturale" apparirebbe semplicemente come quel "superfluo" che potrebbe essere messo tranquillamente tra parentesi e sospeso di fatto, senza che esso abbia incidenza alcuna sulla possibilità di individuare, a livello teorico e pratico, l'unico fine ultimo e vero, quello soprannaturale, cui l'uomo reale, creato da Dio, tende di fatto con tutte le sue forze». (Dall'Introduzione di Franco Buzzi alla Sezione quarta dell'Opera Omnia)