Quando il giovane Nietzsche pubblicò La nascita della tragedia, subito la corporazione dei grecisti si risentì - e Wilamowitz lo attaccò con un pamphlet feroce. Aveva buone ragioni, perché quel testo di Nietzsche minacciava tutto l'assetto degli studi classici. Ma una vera risposta a Wilamowitz sarebbe venuta solo nel corso del Novecento, dall'opera di Kerényi. Sin dagli inizi degli anni Trenta, e poi attraverso il dialogo e la collaborazione con Jung e Thomas Mann, Kerényi sviluppò una visione della grecità che permetteva di risalire alle origini di quella che egli chiamò mitopoiesi e mostrava come una rete possente di simboli innervasse ogni aspetto della vita greca. Se c'è un libro dove questa visione si presenta nelle sue più svariate sfaccettature - ciascuna delle quali corrisponde a un aspetto delle molteplici ricerche di Kerényi -, è proprio Religione antica, apparso per la prima volta nel 1940 e nella sua edizione definitiva nel 1971. Non è un trattato né un'opera sistematica, ma un felice tentativo di illuminare eventi e categorie indispensabili per accedere al mondo classico, come già si può desumere dal titolo di alcuni capitoli: «Che cos'è mitologia?», «L'essenza della festa», «Uomo e dio secondo Omero ed Esiodo», «Uomo e dio nella concezione romana», «La sacralità del pasto», «Il mito dell'areté», «Che cos'è il tempio greco?». E ogni volta Kerényi ci addita la via regale per avvicinarsi a questi temi.