In caso di rottura dell'alleanza matrimoniale, l'attuale disciplina cattolica incoraggia la scelta del celibato. Per coloro che invece si risposano prevede l'esclusione dai sacramenti della riconciliazione e dell'eucaristia. In realtà, ragiona Vesco, si può perfezionare l'attuale prassi sui "divorziati risposati", non solo non mettendo in discussione l'indissolubilità del matrimonio, ma anzi riconoscendole tutto il suo valore. Perché ogni e qualsiasi amore di coppia, quando è autentico, lascia di per sé una traccia definitiva, incancellabile. Vesco propone allora di distinguere più adeguatamente - senza mai separarli - "matrimonio sacramento", "unicità" e "indissolubilità". Propone di recuperare nel diritto canonico una differenziazione decisiva fra reato istantaneo e reato permanente. Propone di pensare a un accompagnamento spirituale-penitenziale al termine del quale, a determinate condizioni, si possa aprire la via al perdono sacramentale. La chiesa aiuterebbe a quel punto chi ha fallito nella precedente unione ad affrontare il passato, a considerare le ragioni della rottura, a esaminare la propria responsabilità, per poter accedere al sacramento della riconciliazione. Non un diritto al perdono, ma un diritto a poter chiedere perdono.