Nel 1889, a soli 20 anni, Otto Grosz sbarca a Valparaíso come parte di una delegazione di soldati tedeschi. Ferito in battaglia e dato per morto, viene abbandonato in cima a una pila di cadaveri. Grazie alla misericordia di alcune lavandaie che sentono i suoi lamenti, viene caricato sul dorso di un mulo e portato in salvo. Tra le donne che lo assistono ce n'è una che il tedesco ricorderà per sempre, una mapuche di nome Lihuén, che lo cura con impacchi e cantilene sussurrate in una lingua ancestrale. Quella che in seguito Otto Grosz riporterà sul suo taccuino di viaggio è una fitta conversazione con quella lingua misteriosa, la ricostruzione di un dialogo con un'epoca in cui la lussureggiante fantasia dell'espressione poetica non era ancora stata sostituita dalla fredda razionalità dei tempi moderni. In quelle pagine fragili e ingiallite dal tempo - che Marcelo Escobar, il curatore di questo bestiario, recupererà da un mercatino delle pulci di Parigi - sono raccolte, catalogate e descritte l'affascinante cosmovisione del popolo mapuche, il leggendario Popolo della Terra originario del Sud del Cile e dell'Argentina, e la sorprendente mitologia diffusa nell'arcipelago di Chiloé. Un sapere grazie al quale oggi possiamo immergerci nella fervida immaginazione di questi popoli nativi, entrando in un universo che, non ancora sottomesso alle regole delle culture dominanti, si manifesta in un labirinto oscuro di tradizioni, credenze e leggende, dove convivono streghe, mostri, spiriti benevoli e animali prodigiosi.