Fra tutti i sentimenti che l'uomo ha sviluppato durante la sua storia non ne esiste uno che superi la tenerezza come qualità tipicamente umana e umanizzante. Evidentemente essa non va fraintesa con il sentimentalismo o con la debolezza. Si tratta piuttosto di un sentimento che rende la persona affettuosa, compartecipe, colma di rispetto e meraviglia di fronte alla perfezione del cosmo e ad ogni forma di vita, capace di apprezzamento e giusta tolleranza verso se stessa e gli altri. Ma perché la tenerezza dovrebbe aver a che vedere con la teologia? Non esiste infatti, a tutt'oggi, una "teologia della tenerezza" e quasi nessun dizionario teologico contempla questa voce. Tuttavia è proprio Dio la sorgente inesauribile e il vertice di ogni tenerezza. L'autore intraprende quindi un percorso in larga misura inesplorato, ma decisivo se si vuole che la Chiesa si presenti al mondo come il sacramento della tenerezza di Dio, di un Dio di bontà e di grazia, e non di punizione o di paura. Il discorso non si impone, d'altra parte, solo per la comunità ecclesiale, ma per il mondo intero e il suo futuro. L'alternativa è tra una cultura della tenerezza, e quindi dell'amore e della vita, o un'anticultura della violenza, e quindi dell'egoismo e della morte.