Che significato ha il tutto? Noi guardiamo stupiti ai segni della morte a cui in precedenza non avevamo mai prestato attenzione e sorge il sospetto che l'intera vita propriamente sia solo una variazione della morte; che noi siamo ingannati e che la vita propriamente non è un dono, ma una pretesa. E allora si presenta questa oscura risposta: Dio provvederà. Una risposta che suona più come una scusa che come una spiegazione. Dove questa opinione s'impone e il riferimento a «Dio» non è credibile, lo humor muore; l'uomo non ha più nulla da ridere, e resta solo un crudele sarcasmo o quella irritazione contro Dio e il mondo che noi tutti conosciamo. Ma chi ha visto l'agnello - Cristo in croce - sa: Dio ha provveduto. Il cielo non viene squarciato, nessuno di noi ha scorto «gli invisibili santuari della creazione e i cori degli angeli». Tutto ciò che possiamo vedere è - come per Isacco - l'agnello, del quale l'apostolo dice che «fu predestinato già prima della fondazione del mondo» (1 Pt 1,20). Ma lo sguardo sull'agnello - sul Cristo crocifisso - ora coincide proprio con il nostro sguardo sul cielo, con il nostro sguardo sull'eterna provvidenza di Dio. In questo agnello tuttavia intravvediamo lontana, nei cieli, un'apertura; vediamo la mitezza di Dio, che non è né indifferenza né debolezza, ma suprema forza. In questo modo e unicamente in questo vediamo i santuari della creazione e percepiamo in essi qualcosa di simile al canto degli angeli, possiamo addirittura cantare un po' insieme nell'alleluja del giorno di Pasqua. Dal momento che vediamo l'agnello, possiamo ridere e possiamo ringraziare; grazie a lui anche noi conosciamo che cosa significa adorazione.