Nonostante Sergio Contardi dichiarasse: «Non ho fiori», a buon diritto si può considerare quest'opera un florilegio degli interventi parlati di un autore che in vita non ha mai voluto pubblicare un libro. Per fortuna era tuttavia aduso preparare o riassumere su fogli dattiloscritti o manoscritti i testi di seminari, conferenze, convegni, a cui si aggiungono le "sbobinature", grazie a cui i curatori hanno potuto operare una cernita da un vasto materiale che copre oltre un ventennio. L'intento non è per nulla commemorativo: a cominciare dal rifiuto dell'ordine cronologico, si è voluto proporre dei saggi attuali, usufruibili, curiosi, fecondi, piacevoli da leggere e aperti alla "trouvaille", incentrati sui fili conduttori della laicità della psicanalisi, transfuga da ogni professionismo che ne mortifica l'eros; della radicale differenza della sua cura - formativa, etica, civilizzatrice - dalla psicoterapia che la adatta alle esigenze politiche della medicalizzazione e la immola alla teologia della competenza; e infine della strana, difficile passione dell'analista per il neutro, «un concetto tanto essenziale quanto non ritenuto degno di elaborazione teorica». Così l'autore riassume l'esito della formazione analitica: una leggera indifferenza, un certo disinganno, un lieve disincanto, che per lui costituiscono «le tre modalità di essere nella mancanza». Alle opere di bene di tanta letteratura psicanalitica attuale, continuiamo a preferire questi fiori che ci ha lasciato.