Quando, nel 1954, Foucault scrisse questa introduzione a Sogno ed esistenza di Ludwig Binswanger (1930), non mancò di suscitare le perplessità dell'editore al quale lo propose: si trattava, infatti, di pubblicare il breve libro di uno psichiatra poco noto con un saggio introduttivo eccezionalmente lungo e per di più firmato da uno sconosciuto qual era all'epoca Michel Foucault. Oggi, se rimane inalterato il valore delle pagine di Binswanger per il paradosso solo apparente di voler cogliere l'esistenza proprio là dove essa sembra offuscarsi e disperdersi, ossia nel sogno, è lo scritto di Foucault che forse suscita l'interesse maggiore alla luce della sua intera opera successiva. Benché la fase più compiuta del pensiero di Foucault si caratterizzi per l'analisi di problematiche assai diverse da quelle affrontate qui, già in questa sede egli getta le basi del suo futuro «metodo archeologico». Tracciando un percorso che, di rottura in rottura (quelle che più tardi denominerà «fratture epistemologiche»), va da Eraclito e Platone a Schelling e Novalis, da Husserl, Sartre e Freud fino allo stesso Binswanger, Foucault esamina e supera le principali concezioni del sogno fino a scorgere in esso un «a priori storico», uno spazio originario, ciò la cui esclusione ha reso possibile l'instaurarsi della ragione e della storia. Il sogno racchiude in sé una contraddizione nella quale risiede il suo senso più profondo. Nell'onirico si dispiegano insieme la trascendenza dell'immaginario e il movimento della libertà prima di ogni sua determinazione. Questa contraddizione culmina nella morte che, intesa non come antitetica alla vita, ma come lo spazio «in cui la libertà, nel mondo e contro il mondo, si realizza e si nega nello stesso tempo come destino», viene a essere il senso ultimo del sogno.