Questo libro è una rivisitazione delle conferenze di Basilea di Cari Gustav Jung (1934), mai tradotte prima in italiano, nelle quali lo psichiatra svizzero espone le idee cardine della sua Psicologia Analitica, mettendo anche in risalto come e perché il suo pensiero diverga da quello di Freud. In esse illustra la sua concezione sulla struttura e le funzioni della psiche nel suo rapporto col mondo interno e col mondo esterno e affronta le grandi tematiche dei complessi a tonalità affettiva, dei sogni e dei miti, che si possono considerare come i sogni fatti dall'umanità nel corso della sua intera storia. Per Jung l'inconscio non è un sottoprodotto della coscienza, bensì la sua matrice: è nella sua oscura profondità che si accende il fuoco della coscienza. Accanto ad uno strato inconscio più superficiale che deriva dall'esperienza di vita personale, vi sarebbe uno strato inconscio più profondo, l'inconscio collettivo, che conserva le tracce filogenetiche della sua evoluzione e che contiene gli archetipi, forme a priori della rappresentazione, capaci di produrre immagini corrispondenti alle esperienze più significative del genere umano: le immagini archetipiche. Come dice Jung, "l'immagine archetipica è l'immagine che l'istinto ha di se stesso". La capacità immaginativa della psiche ha il grande pregio di allontanarci dalla cieca coattività dell'istinto e di farci approdare alla consapevolezza della nostra intenzionalità ed al sentimento della nostra libertà. Peculiarità di queste conferenze, che si svolgono in forma di dialogo con gli uditori, è la capacità di Jung di non esprimersi solo in concetti ma di far emergere la sua esperienza professionale e di vita, restando sempre aderente ai casi clinici che presenta.