Gli stessi slogan, le stesse prigioni, le stesse bugie: la storia dell'Unione Sovietica e della Russia è un movimento circolare che riproduce pratiche repressive, tecniche di propaganda e cliché del passato. A volte questo ciclo si interrompe per qualche anno ma poi ricomincia come in una spirale senza fine. In una di queste brevi pause, alla fine degli anni Ottanta, è nato Memorial, la più importante ONG russa fondata per ricordare le vittime delle repressioni. Fino a quel momento la ricerca della verità storica era un percorso clandestino, accidentato, fortuito. Boris Belenkin, direttore e fondatore della Biblioteca di Memorial, racconta questo cambiamento epocale che ha permesso a un gruppo di studiosi di creare un'organizzazione unica nella storia del Paese. Dalle iniziative pubbliche come la cosiddetta Restituzione dei nomi dei giustiziati, letti ogni anno in Piazza Lubjanka a Mosca, al minuzioso lavoro di raccolta delle collezioni dell'Archivio, del Museo e della Biblioteca, Belenkin descrive le attività e i protagonisti che hanno lavorato nell'organizzazione, come Arsenij Roginskij, Jan Racinskij, Aleksandr Daniel'. Fino ad arrivare agli attacchi violenti contro l'edificio e i dipendenti di Memorial da parte di agenti dei servizi. Sono gli anni dopo la terza elezione di Putin, nel 2012, quando il governo dà il via alla revisione della storia sovietica, identificando negli attivisti di Memorial nemici pagati dagli occidentali. «Oggi la Russia di Putin fa di tutto per eliminare Memorial» scrive Belenkin. Resistere significa impedire la cancellazione del passato.