"[...] la sua opera è un'opera d'arte nel senso che va da Beuys a Banksy, ma nello stesso tempo da Francis Bacon a van Gogh e a sua volta arriva alla Firenze rinascimentale o ai primi giorni dopo la caduta di Troia. Quando un'opera può trasformare ogni suo divenire in una genealogia, senza che questo significhi una storia della storia dell'arte, siamo di fronte a un oggetto che rompe il primo fondamento della fisica classica: il tempo e lo spazio. È così vero che si è detto di Zurita che è l'ultimo di un'epoca, l'ultimo nell'innalzare un'epica, l'ultimo nell'elevare la sua voce in un canto, tuttavia è anche il primo a decostruirle per dare loro un nuovo posto nel mondo che va a pezzi. In questo modo, Zurita non conclude una tappa ma ne inaugura un'altra, una che stiamo vivendo pienamente in Cile e in America Latina: una poesia che sfugge agli statuti del neobarocco, così come all'antipoesia e al colloquialismo, che decanta l'aura avanguardista ma senza confermare nessuna delle sue regole, che indaga nella sua impossibilità mediante commoventi interventi sul proprio corpo e sul corpo sociale, che si interroga a partire da una fragile e incerta esistenza sulle grandi e universali passioni umane." (Dalla presentazione di Héctor Hernández Montecinos)