«La poesia, come Tuzet stesso teorizza in A regola d'arte, è un esercizio «rigoroso, preciso, logico» in grado, se non più della scienza e della filosofia certamente accanto ad esse, di illuminare la zona d'ombra del mondo e dell'essere umano (dell'essere umano nel mondo). È una fede forte (forse, addirittura un'«illusione»), per certi versi anacronistica, e tuttavia tutt'altro che ingenua. Ed è anche, questa, una fede che allontana Tuzet, e irrevocabilmente, da ogni tentazione di facilità, e da ogni postmodernismo o sperimentalismo di maniera: la letteratura (la poesia) non è mai gioco del linguaggio, ma tensione referenziale, esattezza (e quindi bellezza) di un pensiero agonisticamente investigante. (...) Con L'avversario, dopo anni di silenzio poetico, Tuzet riprende il suo discorso (la sua indagine) là dove lo aveva lasciato: ritrova, e rafforza, quell'impulso cartesiano teorizzato, sulla falsariga di, tra gli altri, Valéry, in A regola d'arte; e ancora: riprende quella vocazione eminentemente filosofica della sua poesia, partecipando, in questo senso, e con più rigore di molti, di quella tendenza contemporanea a «rifondare la prima persona trasformandola in "persona non poetica", ma filosofica» di cui ha giustamente parlato Simonetti. » Scritto di Raffaello Palumbo Mosca.