Ogni narrazione è un territorio. L'immaginazione dell'autore ne esplora la latitudine, la sua lingua ne sviscera la profondità. Quel territorio non lo "descrive" lo inventa. Disegna uno spazio virtuale, ombra e specchio di quello reale: che la "realtà" strania e, insieme, misteriosamente convalida. Così è il Fùcino di Tommaso Ottonieri. Terra piatta, orizzontale, geometricamente sezionata da uno sguardo che plana dall'alto, aereo o forse celeste; ma che incastonata com'è fra ruvidi spalti appenninici cela in sé smisurate profondità, invasi vertiginosi, immani universi ctonî percorsi da Creature Che Sospirano Nel Buio. Uno scrittore "angelico e infero" che viene "dalla sesta luna di Saturno": così, profetico, Giorgio Manganelli ne aveva salutato l'esordio. Poeta che s'è scelto la prosa come "plastica" infinitamente duttile. Sirena sempre tentante e sempre sfuggente, per un onnipotenziale linguistico come lui.