Terza raccolta di Dylan Thomas, dopo "18 Poems" (1934) e "Twenty-Five Poems" (1936), "La mappa dell'amore" venne pubblicata nel 1939, proprio a ridosso dello scoppio della guerra. Il suo sottotitolo, "Verse and Prose", specifica subito che non si tratta, come per le precedenti, di un libro di sola poesia; in realtà, la raccolta comprende sedici poesie e sette racconti, costituendo così anche il primo libro di prose del grande poeta gallese. D'altra parte, e questa raccolta ne è una testimonianza, non si deve accentuare troppo la distinzione, pur ben visibile, tra prosa e poesia: grande affabulatore, Dylan Thomas non rinuncia mai all'intensità della sua scrittura, quel suo «chiedere troppo alle parole» - come egli stesso ebbe a dire - che da sempre costituisce uno dei motivi di maggior fascino, ma anche di maggior mistero, della sua opera poetica. Nelle prose assistiamo a un'analoga «compressione» (ancora Thomas), anche se forse è proprio partendo da queste ultime che il poeta arriva a rimodulare la sua stessa poesia, nel senso di una maggiore adesione a una realtà, a un «flusso vitale» di cui anche la lingua non è più monarca assoluta. E in questo suo nuovo approdo nel mondo, l'opera di Thomas inizia ad "aprirsi", persino a "schiarirsi". Come scrive Federico Mazzocchi nella prefazione che accompagna questa sua prima traduzione integrale italiana di "The Map of Love", «Thomas non rifiutava un contatto col mondo e con gli altri, e così come è un luogo comune che la sua poesia sia delirante - quando è semmai vero l'opposto: che la forma la contiene tutta nel suo solco, in un gioco di immagini orchestrato sino al minimo dettaglio -, allo stesso modo la presenza del mondo è accolta senza distinzioni gerarchiche, senza contrapposizioni tra macrocosmo e microcosmo, tra storia ufficiale e privata».