"Me apocrifo" di Egildo Spada allude alle difficoltà per un autore di essere oggettivo mentre con onestà si racconta. Se però un'autobiografia è sempre un apocrifo, un falso d'autore, tanto più lo è un'autobiografia poetica. È un falso movimento che dà del protagonista un punto di vista solo interiore: la realtà viene illusa con un vocabolario, quello poetico, necessariamente ambiguo. Sono parole che scavano in profondità e fanno tremare il poeta stesso per il timore che possano spogliarlo e svelarlo fino in fondo. Anche se compongono un percorso di vita, sono parole che pur restano inadeguate a una realtà ineffabile. Sono magma dalle viscere della terra che potrebbero ustionare la coscienza. L'orizzonte di riferimento di Spada sono la mitologia e la lezione della Bibbia, letta con passione e disciplina, ma anche l'humus pastoral-contadino della sua infanzia. La poesia di Spada non si nutre, però, della nostalgia per un tempo finito e arcaico. È la rampa di lancio per decifrare il presente anche attraverso strumenti concreti e codificati, perché la classicità e le mitologie di Spada sono "slanci di modernità elastica e di tensione verso altre prospettive e possibilità più lontane".