L'altro insieme agli altri non è solo, ma diviene un coro di voci che può sollevare e cambiare le sorti di un'umanità sofferente, un'umanità aggiungerei che sta correndo il rischio di disumanizzarsi. Un'umanità che non è più in grado di elaborare un dolore, un lutto, una perdita. Un'umanità che sta dimenticando di assaporare il tempo che le viene concesso. Un'umanità che non sa rallentare, che non sa prendere tempo per decidere la cosa giusta da fare o da dire. Viviamo come se fossimo agli argini di noi stessi, su lembi di isole che non ci riconoscono. Provo un senso di lontananza quando penso al mare, quando il Mediterraneo si agita e si schianta con le sue onde sui barconi dei clandestini. Quando le riprese dall'alto dagli elicotteri ci mostrano salvagenti vuoti, quando un corpo di madre tiene stretto a sé il corpicino del suo bambino e sul fondo del mare si addormentano per sempre. Ecco in quei momenti in cui la vita si fa feroce, la poesia in me si innalza a vessillo di una sana rivoluzione. Oltremare ci sarà un altro me che piange, un altro me che prega la notte, un altro me che non vuole morire sotto le bombe, un altro me che viene accudito in un letto, un altro me (...)