Apre la silloge il poemetto che dà il titolo al libro, e lo fa parlando della condizione dell'uomo. È come se Domenico Russo, con Puerperium, registrasse le variazioni di un'estensione cutanea che si rilassa dopo che la vita si è contorta in essa per molto tempo. Visioni, scampoli di presente, lasciano presagire nuove consapevolezze. Finestre si schiudono su spazi aperti, su luoghi attraversati da voci, su un caos spiritualmente arido ma unito dal materialismo. La sua scrittura si interra attraverso le aride crepe del terreno dell'oggi lasciando affiorare le sensazioni di uno stare obliquo e trepidante.