Sembra di sentirlo ancora il profumo intenso della vita in ogni poesia di Roberto Fumagalli. Lo stesso profumo di quando, bambino, fiutava nel vento "l'odore acerbo dell'erba tagliata". Lo stesso profumo mescolato alla paura che la vita se ne vada via per sempre, stipata, alla rinfusa, per un trasloco verso un altrove che non conosciamo. Il poeta ha caricato tra i vecchi mobili i ricordi, i capelli neri al vento, la Calabria con i caldi melograni, i "limoni bruciati dal salmastro", le estati divampanti, il talco e la lavanda e forse qualche fragola ancora bagnata d'amore. Ma in questa fuga dalla sua prima età, mentre carico il poeta si allontana, in controluce rivede il gelsomino dove lei si ritagliava "un giaciglio di fortuna tra collo e spalla", abbandonando il capo spettinato sopra il suo petto. Profumi non dimenticati, suoni antichi, colori sfumati: la luce ovattata di un'alba greca si fonde nella notte di un novembre che sospira d'amore e di morte e che, lieve come un singhiozzo, ci lascia "addosso l'odore della vita".