Come un labirinto d'avorio, la poesia si rivela in queste pagine luogo inespugnabile e onirico, un percorso irto di inganni che pone sempre nuove sfide ma scintillante di bellezza, abbagliante nel suo esplodere di significati universali. Pierangelo Merlin costruisce una lirica formalmente semplice, fluida e guizzante come un torrente di montagna, dal ritmo basso ma dai risvolti semantici imprevedibili e rivelatori. La potenza delle sue parole nasce e si rafforza in questa semplicità, scaturisce dal significato primo dei termini, rifuggendo da inutili architetture barocche e dai timbri consueti di una poesia ormai stilizzata e vuota. La musicalità dei suoi componimenti è scandita da un battere e levare di luce e buio, un rinnovato ritmo jazz da beat generation del Ventunesimo secolo, un mix dirompente di caos e linearità che ha in filigrana trame di amore, malinconia, confusione esistenziale e voglia inarrestabile di compiere sempre un passo in più, alla ricerca di non si sa che cosa. L'essenza della giovinezza percorre questo labirinto facendo vibrare ogni sillaba come un diapason impazzito: piaceri e soddisfazioni sono semi da gettare al vento, la libertà è un limite a cui tendere le braccia in uno sforzo infinito e l'amore è un demone che rincorre la morte in un tempo ridotto a eterno istante, è un viaggio perpetuo nella notte senza destinazione.