In questa nuova raccolta di poesie di Angela Passarello, scaturita durante l'isolamento obbligato, dovuto alla pandemia, il ricorso al dialetto non ha avuto bisogno di forzature poiché tutta la raccolta è stata ispirata e scritta nella lingua materna, la parlata agrigentina, e poi tradotta in italiano. L'ironia e la giocosità dettata dalla lingua dell'infanzia permettono varianti in giochi d'invenzione ripescati nel vissuto e echeggianti di quell'oralità. Al ritmo indimenticabile della vecchia Singer a pedale, con la quale la madre ribatteva la stoffa "a puntu strittu a puntu largu", riaffiorano cantilene, filastrocche del nonsense ascoltate nell'infanzia. Dal rimosso di quel tempo emergono descrizioni di animali come agnus bedda/l'agnella bella, accidi/gli uccelli, babbalucia/la lumaca, furmicula/la formica, a musca/la mosca, oppure si affacciano figure inquietanti come u chicchiru/il balbuziente, o altre temute come a majara/la maga o u sceccu Pirellu/l'uomo nero. Ma queste brevi narrazioni che si susseguono ritmate da continui flashback non hanno mai il sapore di un viaggio nella memoria perché l'idioma materno ha il potere di reificare nel presente ogni dettaglio, ogni elemento cancellando senza esitazione eventuali cedimenti nostalgici.