Nell'8 d.C. un decreto di Augusto confinava Ovidio a Tomi, sul mar Nero, dove rimase in esilio fino alla morte. La brillante carriera del poeta latino si interruppe definitivamente: le sue opere, accusate di immoralità, vennero ritirate dalle biblioteche e bruciate in pubblico. Restano oscure le vere cause del confino: forse implicato in uno scandalo di corte, Ovidio scontava più probabilmente l'estraneità di fondo della sua poetica disincantata alle tendenze culturali, morali, religiose del regime augusteo. Nelle elegie raccolte nei Tristia l'autore confida pene, sofferenze, timori e speranze alla ricerca di un conforto che sembra poter venire solo dalla poesia, medicina dell'anima, dalla certezza dell'immortalità artistica e dall'orgogliosa consapevolezza della fama dovunque riconosciutagli. Ma nella lontananza e nel distacco dalle radici profonde e dagli affetti più intimi, sui diversi stati d'animo prevale il tormentato desiderio del ritorno in patria alimentato dal ricordo di una vita un tempo gioiosa e serena.