Contro chi si scaglia Ovidio, chi è l'ignoto nemico nascosto sotto il nome di Ibis, uccello immondo e malefico? Il cantore della Roma mondana e degli amori, divenuto poi ombra affranta e supplichevole nel gelido sepolcro in cui si sente rinchiuso, svela d'un tratto tutta la sua ira e il suo odio scrivendo con l'Ibis un poemetto noir che non ha precedenti né seguito nella letteratura latina. Chi ha provocato la sua rovina e chi si adopera per renderla definitiva? Nemici occulti o, come già Brunetto Latini aveva affermato, lo stesso Augusto? Preda di un incontenibile furor orgiastico, il poeta, come toccato dal tirso delle Baccanti, esce dalla realtà quotidiana per entrare nella sfera senza tempo della magia e del mito: sacerdote di un rito di maleficio, diviene vate di sventure, nascoste nelle forme di indovinelli coltissimi e ben calibrati. La rivincita di chi getta in faccia al nemico la propria superiorità? Un voler giocare con la propria disperazione? Una sfida mortale? E, come è ben noto, spesso questa forma di sfida è in bilico fra il gioco e la morte.