La poesia di Domingo Notaro ricorre al bel calligramma ovvero alla parola, sia spagnola sia italiana, che si fa disegno. Ma solo in apparenza si tratta di una risorsa dello Stile del Pittore e del Poeta. L'intento dell'Autore è forzare la virtualità del linguaggio poetico, estendendolo fino al corpo vivo e sempre drammaticamente lacerato del mondo, dall'Argentina all'Europa e all'Italia, perché la sua storia esistenziale ha lambito sempre rischiosamente il confine tra vita e morte. Perciò gli 'alberi' di Buenos Aires, testimoni silenti delle atrocità della dittatura militare argentina, in anni solo apparentemente lontani, guardano il 'rio' (l'immenso Río de la Plata), abissale negazione di due generazioni di giovani vite, e portano fino a noi il dolore e la memoria, la memoria del dolore, il dolore della memoria. E, tuttavia, oltre ogni perdita e oltre ogni sconfitta, ancora una volta è la Fenice l'immagine definitiva di Notaro, che fa risorgere la Vita nell'Arte. Come ha detto Marco Bechis, sodale di tanta intensa esperienza umana e intellettuale, "le sue poesie sembrano danzare sulla pagina bianca come entità aliene che visitano la terra, per fecondarla, o forse per aiutarla a sopravvivere a noi umani".