«Ho scritto questi versi lungo gli ultimi quarant'anni. Forse non tutto era degno di essere conservato, ma assicuro il lettore che ho cacciato molto loglio e salvato un po' di ortiche. Mi accorgo di aver tenuto conto di alcune esigenze che illustro qui di seguito. C'è una vena metafisica che accompagna tutta la parte legata al viaggio: nello stesso tempo un desiderio di nebbia e di sereno. Superati i tre quarti del viaggio, la voglia di tirare le somme sulla qualità del cammino. Ma in linea di massima ho provato a sperimentare più formule espressive, a dare conto dell'accumulo di molte esperienze e a produrre una poetica diversa, più che del sommerso, del salvato. La chiamerei: discarica differenziata della memoria. I metodi che mi accorgo di aver frequentato sono vari: la satira oraziana intesa come racconto odeporico, dipanato nel tempo e nello spazio, e la ballata che riprende il capitolo cinquecentesco dove si descrive, attraverso la chiacchiera e senza l'essenzialità della poesia, il banale quotidiano. E insieme ho coltivato l'esplosione sardonica e folgorante di molte stagioni letterarie. Il risultato purtroppo non mi soddisfa. Ma neppure mi dispiace.» (Raffaele Nigro)