Questa piccola silloge di poesie del giovane poeta Nicola Lotto è densa di contenuto e di riferimenti. Quello che compie Lotto è una dissacrazione dell'elemento religioso, ridotto in una visone di minimalismo e pessimismo "cosmico" ma al tempo stesso la sua visione laica è un analisi profonda ed esistenziale dell'apriori spirituale che ognuno di noi possiede. Lotto parla delle bellezze del creato, di cui la più fatua è proprio quella rappresentata dalla donna, creatrice di amarezza e di illusione oltre che di tormento interiore. Alla fine, leggendo i versi di questa silloge, sembra davvero di trovarsi davanti a una versione post-moderna del testo biblico, la cui conclusione è che tutto è vanità e la via per non soffrire è una fuga dalla quotidianità, dal correre dietro al vento inutilmente "parole vuote e polvere nel vento". Il sacro viene ricondotto all'essenziale e la disillusione si allarga fino a comprendere dottrine e ideologie descritte come "abiti nuovi/vecchie macchie..." Ecco l'uomo dove si colloca in questa visone? L'uomo è cenere, è l'impotenza personificata, è "colore che langue", pianto sconsolato che si allarga fino a sommergere l'umanità.