Che cosa hanno in comune il racconto di una visita di Marine Le Pen in una cittadina della provincia francese durante la campagna elettorale in vista delle presidenziali del 2012 e una riflessione, di sapore grammaticale, sui poveri (e la poesia)? In entrambi i casi si tratta di condurre indagini sul (linguaggio) quotidiano, o ancora di testare esperienze di vita sociale, in cui «la politica non è tagliata fuori dal quotidiano». Tra giochi linguistici e relative forme di vita, tra sfondo personale e dimensione pubblica, tra grammatica e politica, Nathalie Quintane sperimenta forme di scrittura che danno conto del flusso stocastico delle idee saldamente ancorato alle condizioni e ai contesti materiali attraverso i quali le idee prendono senso nel e con l'uso del e nel linguaggio. Quintane attraversa così - non senza una problematica, finta ma originale ironia - questioni di etica, estetica, economia, antropologia, politica, sociologia, la cui rilevanza segna (ha segnato) gli anni Dieci del secolo in corso.