La raccolta di Federico Morando offre una panoramica su quel sentimento che nutre e allo stesso tempo usura l'anima: la meraviglia, a volte crudele, di vivere, di amare la vita. La rima baciata in chiusura, quasi onnipresente, crea un'unità musicale tra versi che desiderano scavare nel quotidiano uno spazio di consapevolezza superiore perché colta sul limite, stanca, e per questo più dolce, più vera. Se le prime due sezioni sono rivolte al mondo e alle sue componenti - la seconda è quasi un dialogo diretto con esso - la terza si rivolge a due interlocutori precisi: M., custode di un amore totalizzante, e Anna, simbolo di un'eredità affettiva tramandata dalla carne e dalle ossa e, forse, anche da un'illusione. La quarta sezione, invece, propone un movimento contrario: la ricerca dell'origine di questo amore esausto si sposta dal mondo a ciò che di più interno possiede l'uomo - le sue vene, il suo sangue - e le risposte emerse, per quanto amare, portano una speranza semplice, disillusa, ma più salda.