Michele Damiani, "pittore della passione serena, calma e gioiosa", come lo definisce Tahar Ben Jelloun, ha un afflato con la poesia. I suoi versi s'inerpicano lenti e ieratici, ora distaccati, ora sodali di un'emozione, di un sentimento. E tra liriche ormai alla terza raccolta e segni di una tela infinita il poeta ingaggia una severa battaglia per ricomporre in maniera sinestetica il suo approccio alla bellezza. L'artista racconta: "Accade sempre più spesso che la mattina, dopo il caffè e una rapida scorsa ai giornali, all'apertura dello studio mi accorgo di come, durante la notte, qualcuno ha creato confusione tra libri, tele e cavalletti. Mi sorge un dubbio. Vuoi vedere che gli oggetti, i personaggi che la mattina invento per i dipinti, la notte si coalizzano per dare battaglia alle storie, ai versi dei miei libri? Parole e immagini, le une contro le altre armate di penne e pennelli per la conquista del territorio. Naturalmente finisce che storie, burattini, parole, personaggi e altri compagni di viaggio mi rovinino la giornata. Risultato? La mia ricerca di perfezione creativa si tramuta in una perfetta imperfezione".