Un libro che cattura e fotografa con nitore e desolazione, turbamento, profondità, le infinite possibilità esistenziali dell'universo umano, colto, scandagliato, discusso nel proprio rapporto stringente sia con la contemporaneità sia con i grandi temi archetipici dell'umanità; una scrittura che, analogamente al corpo di cui essa parla, si può definire "porosa": le parole accadono e divengono nella pagina bianca, emergono tra ampi silenzi in maniera vibrante; la "vis" critica di Anna Rita Merico è fiera, spietata, coglie punti essenziali e funzionali al ripensamento della figura femminile che, alla fine di questa acuta investigazione di sé e della società che ne plasma i modi, che la definisce e la irrigidisce, ritorna in posizione fetale, ma non nella sua matrice di partenza, non nel locus primigenio assegnatole: coltiva il progetto di costruire un luogo altro che possa accoglierla, un orizzonte di possibilità in cui sia dato nascere a forma nuova, «sono fuori da ogni utero possibile non ho luogo / devo agire costruirmene uno che m'accolga / che mi sviti dal torpore che mi dia volto e mani che mi succhi da questa foschia / che mi lasci nascere / finalmente» (Claudia Mirrione).