In questo percorso verso il centro del tempo passato, un tempo che ci raggiunge e non inseguiamo, l'essenza di un rapporto vissuto tra un figlio e un padre si colma di desiderio e di comprensione. Trovare nella parola una mensa, in cui condividere la vita e la sua assenza, diventa un atto di fede, come se la poesia fosse custode dell'insondabile. Pane e padre hanno la stessa radice, "PA", che significa nutrire e proteggere e in questa proiezione si crea una circolarità tra generazioni, volgendo lo sguardo anche ai propri figli. Il percorso si snoda, quindi, nello sguardo cercato e donato, in cui "l'essere figlio" diventa il luogo privilegiato dell'ascolto. Scrive Gianfranco Lauretano: «Il libro chiede di essere letto, come se seguissimo lo stesso mistero tra l'indicibile e la carne, com'è ogni paternità e ogni poesia che ci genera».