In un'epoca dominata dalla balbuzie tribale le sequenze poetiche di Daniele Gorret rappresentano un modo di accostarsi alle rifrazioni della quotidianità attraverso una visuale antichissima e nuova, che riprende le cadenze affabulatorie, incantatorie, di Gozzano e di certi crepuscolari, non dimenticando al contempo le scorribande sintattiche di Pasolini, di Volponi o di quegli autori novecenteschi, di non facile classificazione, che tendevano al recupero di una narrazione in versi atipica e anticonvenzionale. La forma privilegiata non potrà dunque che debordare in quella inattuale del poema o del poemetto di taglio narrativo che procede intorno alla cadenza ossessiva, percussiva, di un endecasillabo che si dirama mediante uno stile semplice e prezioso. Il presente lavoro, dall'evidente intento programmatico, si configura come l'espressione più naturale per elaborare una dimensione autobiografica, monologante, che, partendo da un dato tangibile, si inoltra lungo i meandri labirintici della memoria, al fine di liberarla dalle ragnatele che avvolgono i substrati del non percepito e del non detto. «Parola non c'è per lui che sia ordinaria» recita un verso che non fa che confermare tale retaggio «etico» di Gorret, costituendo un inimitabile disegno musivo che fin dal titolo si richiama a Blok e si pone come un moderno Bildungsroman, descrivendo, in maniera elegante e sapiente, la ribellione, mai gratuita ed esibita, «contro i precetti [...] / contro la moda, i modi dominanti». (p.d.p.)