Due Avatar (Gneo Gaius Fabius e Germanico, rispettivamente Francesco Paolo Intini e Giorgio Linguaglossa), si scambiano missive da due pianeti distanti migliaia di anni luce dopo una gigantesca deflagrazione che ha distrutto il pianeta terra. I due Avatar dialogano. Ne deriva una poesia eccessiva, abnorme, ultronea, ucronica che sconvolge tutti i generi della forma-poesia che abbiamo conosciuto nel Novecento. Una poesia che fa dell'eccesso e della distopia la propria ragion d'essere. Una poesia pop corn, phantasy kitsch o poetry kitchen, fate voi. Si ha una moltiplicazione di scene e di flashback che i due Avatar lasciano liberi di entrare e di uscire dalla pagina in modo ingovernabile, apparentemente sregolato. La scrittura stessa si rifrange in una moltitudine di giochi di specchi. Una dimensione logo-logico-esistenziale si sovra-espone e si sotto-impone al resoconto di eventi cronachistici e immaginari che diventano l'occasione per una anamnesi del nostro modo-di-vita. In questa accezione, si tratta di una poesia civica e politica, ma di un mondo dove non c'è più politica.