«"Oscura" è la definizione che darei della poesia di Stefania Giammillaro, intendendo con tale aggettivo sottolineare non solo la qualità predominante di un teatro mentale ossessionato da una dolente esperienza autobiografica; ma anche la caratteristica formale della sua trasposizione in versi lessicalmente drammatici (vi ricorrono sostantivi quali: 'coltello', 'stimmate', 'spine', espressioni quali: 'gomiti viola', 'grumi di sangue'; e tanti verbi attinenti alla violenza fisica), e spesso alogici per la presenza di simboli e immagini inusitate (in rapporto ad una tematica sempre più sfruttata), a meno che non si dia credito alla supposizione che nello spazio fra i termini accostati, come sembrerebbe, forzosamente, si celi in realtà il molto del non-detto per una sorta di pudore dell'autrice, che, censurati i termini frammezzo, espliciti gli estremi di un ricordo udibile per intero solo da parte di chi provi ad afferrarlo con uno slancio d'immaginazione» (dalla prefazione di Franca Alaimo)