"Sacra carne e pie illusioni" è la quarta silloge di Caterina Silvia Fiore, in cui - come annota in prefazione Joan Josep Barcelo - la poetessa "ci trasporta in un mondo molto speciale, un mondo dove leggerla richiede di essere addormentati, ma non sempre sognanti, o se si preferisce svegli, ma sempre sognanti. Nelle sue poesie esiste una sacralità che ci permette di ottenere un punto fermo, orientarci nell'omogeneità caotica e vivere veramente e allo stesso tempo una relativa omogeneità del profano. Non esiste più un mondo unico, ma solo frammenti di un universo spezzato, un'infinità di luoghi e situazioni in cui spostarsi. L'esperienza sacra in questo spazio profano si mostra carica di valori che portano alla disomogeneità, esistendo un universo privato dove l'essere, evitando il sacro, si dirige verso un'altra realtà diversa da quella che partecipa alla sua esistenza quotidiana."