Dalle raccolte d'esordio (Primo vere, 1879 e Canto novo, 1882), nelle quali l'imitazione di Carducci è già temperata da una personale vena sensuale e naturalistica, al Poema paradisiaco (1893), che anticipa nella versificazione modi che saranno tipici dei crepuscolari; dall'Intermezzo (1894), dove agiscono suggestioni baudelairiane, all'incompiuto ciclo delle Laudi (Maia, Elettra, Alcyone, 1903; Merope, 1912), summa e manifesto della sua ars poetica: questa antologia ormai classica, curata da Federico Roncoroni, scandaglia l'intera produzione in versi di D'Annunzio facendone emergere con nettezza i nuclei ispiratori. In particolare, la tensione eroica e superomistica, l'adorazione della bellezza senza tempo, l'esaltazione dell'ebbrezza panica, la ricerca di una comunione di sensi e d'animo con il tutto. Originale interprete della sensibilità decadente, D'Annunzio pone al servizio della sua visione poetica una straordinaria sapienza espressiva - linguistica, metrica, musicale e strutturale - che esalta la carica evocativa della parola portandola al limite delle sue possibilità: «O poeta, divina è la Parola; / ne la pura Bellezza il ciel ripose / ogni nostra letizia; e il Verso è tutto».