"Se dopo Auschwitz si è continuato a far versi, pare che anche dopo le minime catastrofi dei viventi, dei sopravvissuti, si tenti la ripetizione di una parola sconfitta dalla sua stessa insignificanza, e tuttavia nutrita da questa stessa insignificanza. E si continua a scrivere romanzi e racconti e versi, poiché l'inutile passione della vita chiede d'esser, fino alla nausea, descritta, senza che si possa intravedere alcunché di risolutivo, di radicalmente diverso dalla dannazione quotidiana e finale...". (Silvio Cumpeta)