"Le età del bosco" di Vincenzo Corraro è un libro che racconta di distanze, spaesamenti, memoria. Costruita con un andamento narrativo in cui le azioni e le storie tendono a sottrarre i luoghi del reale dall'insidia del vuoto, questa silloge è fatta di rimandi, episodi, frammenti del passato, di scenari ruvidi, idealmente mediterranei, declinati attraverso un'esperienza affettiva simile a una riscoperta. Per varietà di timbri e con una musicalità del verso, il racconto in versi si dipana in due parti. C'è un territorio 'altro', istintivo, che si è sedimentato nella nostra esistenza ed esprime la finitudine dell'essere e il senso precario dei giorni; c'è qui una radicale ricerca degli elementi primi e la geografia del paesaggio si sovrappone a quella dell'anima. Nella seconda parte, la distanza dalle cose ha un senso più definito: lo sguardo su di esse intercetta le tonalità degli elementi naturali e dei paesaggi appartati, dove si affaccia la presenza dell'umano, con tutta la sua inadeguatezza rispetto al mondo; qui la distanza è ridotta e i contorni sono più fermi: è uno sconfinamento dove il tempo si annulla e la forma della realtà finisce per essere una tensione, il peso che rimane sulla terra.