"Diritto ad altre vite", come il suo titolo enfatico e assurdo suggerisce, è, in primo luogo, l'espressione di una ricerca, quella dell'autore, protesa verso l'ignoto. Essa incarna la ricerca di un linguaggio che, noncurante della sua indigenza costitutiva, sfidi i suoi propri limiti pur di tratteggiare il "verso del tutto", e di una visione che si apra alle verità di fatto, a quelle contingenti, a quel "qui e ora" che non può non essere il sale di un'arte, quella poetica, che dimora nell'Essere e, dell'essere, è immagine e custode. Diritto ad altre vite è nientemeno che un aggrapparsi all'universalità concreta dell'istante e un ancorarsi a quella irriducibile della tragedia. Se per tragedia, infatti, si intende la tensione inallentabile e lo scontro-incontro tra le forme del bello e le mutevoli contraddizioni di un'esistenza, quella umana, schizofrenica e meravigliosa, ecco, quest'opera non è che una tragedia. La nostra è la storia di un diritto rivendicato: del diritto ad altre vite.