Leggendo i versi di Chen Li e non essendo in grado di penetrare gli originali, spaziando nei suoi componimenti da una letteratura all'altra, pare naturale che quello di Carelli somigli di più a un verso libero, con tutte le seduzioni che ha saputo far sue. Leggendo quei versi si ha l'impressione di essere in un'agorà, in un confronto aperto di esperienze senza più chiusure identitarie. Per seguire il filo che aveva dentro, l'autore ha preso spunto da una parola, da un'immagine, e talora da un altro verso, virgolettato per sottolineare che non è suo. Da buon tradizionalista ha fatto uso solo di haiku o di waka in rapida successione. Strada facendo gli è sovvenuto a volte il dubbio di star forzando o deformando l'originale, di stare in qualche modo copiando. Aveva abboccato all'amo! Alla fine dei versi, a sciogliere ogni dubbio, anzi a chiarire che questa era proprio la sua intenzione, Chen Li stesso lo assolve di ogni eventuale peccato: "Ridurrò la forma delle mie poesie, saranno più piccole di un disco, più grandi del mondo, microcosmi copiabili riscrivibili!"